Photo: Monica Sjöö, Meeting the Ancestors at Avebury, 1993 Photo: Piersilvio Bisogno/Moderna Museet © The Estate of Monica Sjöö
Di tutte le storie che il mito offre, quello della Grande Madre attraversa i cinque continenti. A Stoccolma la prima retrospettiva su Monica Sjöö, artista, eco-femminista e attivista svedese, offre spunti su tematiche calde ieri come oggi: dalla lotta per la parità dei diritti alla storia del femminismo e dell’ecologia, passando per il mito e la spiritualità
Le storie che amiamo di solito sono quelle che, in qualche modo, consideriamo vicine al nostro mondo. Al contrario, le scoperte catapultano su scenari molto distanti dalla propria realtà. Eppure ci catturano. Un po’ come quella di Monica Sjöö la cui vicenda offre spunti su temi caldi quali, su tutti, la parità di genere. Si tratta di un argomento molto sentito per Marcolin, che sin dalla sua fondazione, è impegnata a sostenere politiche di genere in senso lato e azioni tese a favorire il bilanciamento tra vita lavorativa e vita familiare. Sin dall’inizio abbiamo scelto di prevenire: l’abbandono del lavoro da parte delle lavoratrici, innanzitutto, che per scelta o necessità, decidevano di occuparsi della famiglia. Col passare del tempo e il sopraggiungere di nuove sfide abbiamo attivato percorsi a sostegno della genitorialità, di inclusione ed empowerment al femminile di cui Sabrina Paulon, Group HR Director di Marcolin, ha già avuto modo di parlare. L’idea di raccontarvi The Great Cosmic Mother è nata da un interregno che unisce le assonanze e la qualità della scoperta di quest’artista svedese. Un percorso unico, in grado di mettere insieme tre elementi imprescindibili e interconnessi del mondo di Monica Sjöö: arte, politica e spiritualità.
La prima retrospettiva su Monica Sjöö è frutto della collaborazione tra il Moderna Museet e il Modern Art di Oxford è stata curata da Jo Widoff e Amy Budd
Se il principio di ogni pensiero si misura con la parola, quella di Monica è collegata a Gaia, lo spirito della Terra, inteso come principio creativo del mondo, riflesso nel corpo della donna. È proprio quest’idea dipinta a unire i cicli della natura con la maternità, che, digradando in pratiche rituali vicine al paganesimo, rendono dirompente l’arte di Monica Sjöö. Quel che mette in scena non è una favola, e la tela God Giving Birth (1968) traduce inequivocabilmente l’iconografia femminista: Dio è una donna intenta a partorire. Ispirata dall’esperienza del parto del secondo genito, l’opera, tacciata di blasfemia e oscenità, sarà censurata e rimossa ovunque esposta. Oggi è parte di un corpo di 50 opere, tra le quali compaiono le suggestioni mistiche delle grandi tele e di opere murarie, inclusi i poster di protesta che hanno accompagnato l’artista nelle sue marce a favore dell’ambiente e della pace già a partire della fine degli anni ‘60.
Come molti artisti, Monica Sjöö ha vissuto una parabola personale che l’ha condotta oltre i confini di casa. Nata a Härnösand, nella contea svedese di Västernorrland nel 1938, troverà la strada dell’emancipazione a Bristol, dove si trasferisce in seguito all’incontro, avvenuto a Parigi, con il britannico Stevan Trickey, il futuro marito. L’esperienza traumatica del parto del primo figlio, avvenuta in un ospedale svedese, sarà materia di indagine personale fino alla catarsi, dovuta alla nascita degli altri due figli nelle più rassicuranti mura domestiche. A Bristol, nel 1964, Monica espone le prime tele astratte, dando inizio al suo impegno a favore dei movimenti femministi e pacifisti. È un rituale di passaggio che la porta in contatto con gli ambienti civili e radicali del suo tempo: dalle proteste contro la guerra in Vietnam passando attraverso le marce di liberazione dei movimenti femminili, che vedono nella libertà dell’individuo, senza distinzione di sesso, genere o classe un diritto imprescindibile. L’esposizione documenta l’impegno a tutto tondo dell’artista, consegnando al pubblico il ritratto di una donna la cui arte poetica, controversa e mai banale, radicale e struggente – come la tela a cui affida il dolore per la morte del figlio minore, Lament for my young son, primo di una lunga serie – e costringe alla riflessione. Il Moderna Museet di Stoccolma, in collaborazione con il Modern Art di Oxford, ha tracciato un fil rouge tra l’azione ecologista e femminista di Monica Sjöö e il movimento contemporaneo dei Fridays for Future, creato da un’altra svedese, decisamente più nota, ovvero Greta Thumberg. La mostra, per i temi trattati e per la narrazione originale, non poteva lasciare indifferente un’azienda come Marcolin. Per vederla a Stoccolma c’è tempo fino al 15 ottobre.