In conversation with REGINA MARQUES
È stata la danza a portare Regina Nadaes Marques da Rio de Janeiro a Berlino. Poi, per amore, è arrivata fino a Milano dove lavora per la ONG ambientalista “Amazonia” e, da 11 anni, dirige “Agenda Brasil”, il più importante Festival internazionale dedicato al cinema contemporaneo brasiliano. La incontriamo per conoscere meglio un territorio lontano eppure molto legato a Marcolin, presente a San Paolo con una filiale da ormai diversi anni.
«Era il 2003 e in Italia si parlava molto di Brasile: l’attenzione del mondo era sull’Amazzonia, era appena stato eletto Lula e la città di San Paolo (gemellata con Milano) celebrava i 450 anni dalla sua fondazione: l’occasione giusta per organizzare un evento con film e registi paulisti. Il successo ci ha motivati a continuare e, pian piano, ci siamo trasformati in un vero Festival. Con un obiettivo: andare oltre i luoghi comuni e portare in Italia una selezione di film contemporanei più varia e rappresentativa possibile del Brasile di oggi. Un Paese immenso, giovane e in grande fermento culturale, economico e artistico».
«Il Brasile è un Paese vasto e complesso e il suo cinema rispecchia questa complessità. Si va dai favela movie ai docufilm sui 60 anni di dittatura militare; dalle storie famigliari che parlano di patriarcato alle questioni indigena e ambientale, estremamente sentite nel mio Paese, fino ai film più legati ai temi della musica e della danza, perché l’espressività corporea è parte fondante del modo brasiliano di guardare la realtà. In generale direi che il nostro è uno sguardo giovane, curioso, fisico e sensibile alle tematiche ambientaliste».
«Considerate le origini europee e italiane di molti brasiliani, sono tantisimi i punti di contatto tra i nostri sguardi. A partire dall’amore per l’arte, il design e la moda. E poi, in fondo, c’è un legame speciale che unisce l’Italia al cinema brasiliano: è stato proprio un italiano, Vittorio di Maio, a realizzare a fine Ottocento, per le strade di Rio, i primi film “alla Lumière”, offrendo ai brasiliani la possibilità di guardarsi con un occhio esterno. Non un gioco di specchi, ma di sguardi differenti e realmente interessati a conoscersi meglio».