Giulia Mantovani

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È possibile comunicare in modo efficace un prodotto senza mai mostrarlo ma interpretando i valori del brand, come ti è stato chiesto per il progetto WEB EYEWEAR-Framing Light?

«Sì, ma per farlo occorre abbracciare una vision molto ampia, che va oltre il prodotto. E che, senza tradire la propria personale ricerca estetica, riesce a orientarsi su un linguaggio artistico per, in questo caso, interpretare i valori su cui si fonda un’azienda. Per me, che lavoro soprattutto con i brand per progetti commerciali, è stata un’opportunità molto sfidante».

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A cosa ti sei ispirata per declinare concetti come trasparenza, gusto e quiet luxury?

«Ho un po’riflettuto su questi valori a livello personale, cercando di interpretarli con semplicità, calati nel quotidiano, in un’atmosfera di serenità. Il concetto di gusto, per esempio, nelle mie immagini è diventato “gusto della vita”, raffigurato dalle immagini luminose di una tavola estiva, all’aperto, fotografata però a fine pranzo, nell’attimo immediatamente successivo a un momento di convivialità, dunque scene di serenità ma con una piccola nota nostalgica. Il quiet luxury invece l’ho tradotto nella luce e nell’atmosfera calda e sfumata di una spiaggia di Cefalù, richiamo al vero lusso dei ritmi lenti del riposo e stacco».

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Quale, tra tanti, è stato lo scatto più sfidante?

«Quello della trasparenza, un concetto astratto richiama anche valori importanti come onestà e sincerità, per me è stato il tema più complicato. Dopo molte riflessioni, per queste immagini ho scelto di lavorare con una modella su una spiaggia della Liguria, cercando di cogliere il delicato gioco visivo fatto di riflessi e acqua».

Ogni donna è straordinaria

La Campagna

Non importa chi sia, come viva, che cosa abbia realizzato: ogni donna, finalmente libera dall’ansia di essere perfetta, può trovare la propria voce e abbracciare la propria autentica identità. È la filosofia di un brand come Max Mara che, da oltre 70 anni, crea abiti che valorizzano la forza e il carattere delle donne, come racconta bene la campagna “Forget Perfection, you are Remarkable” firmata dal fotografo e regista di moda più creativo del momento, Oliver Hadlee Pearch, e girata nelle strade di Londra. Protagonista la modella Bibi Breslin, vivace ed elegante interprete di una donna che, libera dall’ingannevole obiettivo della perfezione, cammina serena ma decisa verso i suoi obiettivi, superando gli inevitabili ostacoli della vita grazie ai suoi punti di forza interiori. Forse per questo la giacca che indossa si chiama Olimpia, come la regina degli dei.

La mostra

A raccontare l’attenzione di Max Mara verso la forza creativa femminile è anche la mostra “Time for Women! Empowering Visions in 20 Years of the Max Mara Art Prize for Women”, dal 17 aprile al 31 agosto nella meravigliosa cornice di Palazzo Strozzi. Promossa da Fondazione Palazzo Strozzi e Collezione Maramotti, la mostra celebra i 20 anni del Max Mara Art Prize for Women, il prestigioso premio artistico nato in collaborazione con la londinese Whitechapel Gallery. La mostra è l’occasione per vedere riuniti insieme i progetti concepiti dalle nove artiste vincitrici durante la loro residenza in Italia, passaggio centrale del premio: Margaret Salmon, Hannah Rickards, Andrea Büttner, Laure Prouvost, Corin Sworn, Emma Hart, Helen Cammock, Emma Talbot e Dominique White. Nove artiste che, emergenti al momento della nomina, si sono poi affermate nel panorama artistico internazionale e le cui opere in mostra a Firenze, tra quadri, sculture, video e installazioni, riflettono su tematiche importanti come l’identità, la memoria, il corpo, la società e la politica.

Il Premio cinematografico

Impossibile, infine, non parlare del “Women In Film Max Mara Face of the Future Award®”, inaugurato nell’edizione 2006 di Women in Film ai Crystal + Lucy Awards. Women In Film è l’organizzazione no profit che dal 1973 si impegna nella promozione delle pari opportunità e sostiene i progetti di attrici e registe. Anche in questo caso, l’attenzione è tutta sul lavoro e sul talento di donne straordinarie, giovani attrici non ancora famose ma giunte a un punto di svolta della loro carriera e che si distinguono anche per il loro impegno. Dal 2006 a oggi, Max Mara ha così voluto riconoscere il talento umano e professionale di attrici come Yara Shahidi, Lili Reinhart, Zazie Beetz, Gemma Chan, Elizabeth Debicki, Alexandra Shipp, Zoey Deutch, Natalie Dormer, Kate Mara, Rose Byrne, Hailee Steinfeld, Chloë Grace Moretz, Katie Holmes, Zoë Saldana, Elizabeth Banks, Ginnifer Goodwin, Emily Blunt e Maria Bello. L’ultima vincitrice? La protagonista di A family Affair e Uglies, la giovane attrice americana Joey King.

Elena Salmistraro

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Legno, ceramica, tessuti: nel tuo lavoro hai sperimentato quasi ogni tipo di materiale. Con quali ti trovi più a tuo agio e con quali vorresti ancora misurarti?

«Nel mio percorso professionale, ho avuto la fortuna di esplorare una vasta gamma di materiali, ognuno con le proprie peculiarità e potenzialità espressive. La ceramica, per esempio, mi ha sempre affascinato profondamente, sia per la sua straordinaria versatilità che per la sua capacità di trasformarsi in forme che raccontano storie antiche pur essendo estremamente moderne e attuali: per me è diventato un materiale quasi familiare. Il legno, con il suo calore naturale e la sua storia intrinseca, è un materiale che amo perché ha il potere di dialogare con il tempo, aggiungendo una dimensione di continuità alle creazioni. E poi ci sono i tessuti, che con le loro texture e colori riescono a dare una sensazione intima e sensoriale che trovo molto interessante da esplorare. Allo stesso tempo, però, sono sempre alla ricerca di nuove sfide e nuove sperimentazioni: mi entusiasma l’idea di scoprire materiali diversi, con la voglia di mettermi alla prova e di esplorare linguaggi creativi».

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Di recente hai realizzato una collezione di ceramiche che omaggia i grandi designers, tutti ben riconoscibili anche dalle montature degli occhiali. Secondo te, dunque, più che un semplice accessorio, gli occhiali sono un elemento di distinzione?

«Per la collezione “Most Illustrious” ho scelto di rendere omaggio ai grandi designer attraverso forme e dettagli che riflettono il loro lavoro, subito riconoscibili. Le montature degli occhiali sono state per me un elemento chiave in questo progetto, poiché non solo nascondono gli occhi, una parte molto complessa ed espressiva del volto, ma sono anche un simbolo di distinzione. Gli occhiali, infatti, sono molto più di un semplice accessorio funzionale, diventano un segno distintivo, una firma personale che definisce lo stile di chi li indossa. In questo progetto nello specifico, rappresentano una dichiarazione di identità, trasformando un oggetto quotidiano in un elemento che racconta chi siamo, un vero marchio di fabbrica che rende straordinario l’ordinario».

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A te che da sempre disegni e progetti immergendoti nei colori, è inevitabile chiedere: come ti immagini una collezione eyewear?

«In effetti ho già avuto l’opportunità di disegnare degli occhiali, anche se purtroppo la pandemia ha interrotto il progetto. Quando penso a un paio di occhiali non li immagino mai come un oggetto che serve solo a proteggere gli occhi, ma a qualcosa che diventa anche uno strumento di espressione personale. Mi attraggono molto le forme audaci, quelle che riescono a catturare l’attenzione senza risultare mai troppo invasive. Anche il colore gioca un ruolo fondamentale perché vorrei che riuscisse a trasmettere delle sensazioni, ma con un equilibrio tale da non essere mai eccessivo o fastidioso. E infine, ciò che non dovrebbe mai mancare a una montatura sono i dettagli inaspettati. Piccoli tocchi che rompono gli schemi e sfidano le etichette, per dare a ogni pezzo una personalità unica ed autentica».

Camilla Ferrari

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È possibile comunicare in modo efficace un prodotto senza mai mostrarlo ma interpretando i valori del brand, come ti è stato chiesto per il progetto WEB EYEWEAR – Framing Light?

«Senz’altro è il modo più interessante per farlo e, in questo caso, mi ha permesso di restare fedele al mio stile narrativo, da sempre particolarmente attento ai legami emotivi tra l’oggetto e la persona, per riuscire a cogliere le sfumature di un’emozione. Il mio lavoro può essere definito a metà tra contemplativo e narrativo, una ricerca fatta dall’incrocio tra osservazione e istinto».

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A cosa ti sei ispirato per declinare concetti come trasparenza, gusto e quiet luxury?

«Ho intitolato questo lavoro “cartoline da un sogno” perché ho cercato di approcciarmi a questi concetti sia lavorando sul significato letterale delle parole sia sulle atmosfere. Sono partita dal valore del gusto, declinato in un viaggio mediterraneo, estivo, cercando di coglierne i risvolti poetici e le piccole gestualità che -se non venissero fotografate- andrebbero perdute. Per la trasparenza ho giocato sulla possibilità di “vedere attraverso”, dunque attraverso l’acqua, un vetro, un riflesso. Per il valore del Quiet Luxury, infine, mi sono lasciata ispirare dal significato latino di “luxus”, che si riferisce anche al rigoglio della natura, alla prosperità naturale, attraverso immagini che sembrano le impressioni di un sogno notturno».

 

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Quale, tra tanti, è stato lo scatto più sfidante?

«Ogni fotografia è frutto di un progetto che coinvolge molti aspetti, a partire dal mio pensiero fino alla ricerca di luoghi, soggetti e luci, dunque è sempre un po’ una sfida, soprattutto quando lavori all’aperto e sei sottomesso alle variazioni atmosferiche e climatiche. Per tutte queste ragioni è stato sfidante e stimolante lavorare sul concetto di trasparenza utilizzando l’acqua».

Alessandro Vai

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Allo IEO stai lavorando a una ricerca sul ruolo di alcune particolari proteine: in che modo il tuo studio potrà contribuire a combattere il cancro?

«Le proteine di cui mi sto occupando si chiamano “istoni”, molto importanti nel controllare vari processi cellulari. Si è visto che queste particolari proteine hanno un ruolo considerevole anche nell’insorgenza del cancro perché i geni che regolano sono aberranti, quindi studiando gli istoni è possibile raggiungere una conoscenza più approfondita dei meccanismi molecolari che sono alla base del cancro».

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Quando e perché hai capito di voler intraprendere la carriera di ricercatore in questo particolare ambito?

«Ho capito di voler fare il ricercatore fin da quando ero alle superiori, dove ho avuto la possibilità di passare un breve periodo in un laboratorio di ricerca: lì mi sono innamorato della passione che ricercatori mettono nel loro lavoro, così ho deciso di proseguire su questa strada. Tuttora la ricerca mi piace, perché mi permette di affrontare nuove sfide nel tentativo di risolvere quesiti che al momento non sono ancora stati chiariti».

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Grazie ad AIRC 5000 i ricercatori quest’anno sono al lavoro per combattere il cancro: quali sono le nuove sfide da affrontare?

«Secondo me oggi la sfida più importante per la ricerca riguarda la medicina personalizzata perché si è visto che i pazienti rispondono in maniera differente alle terapie. E oggi abbiamo accesso a un sacco di informazioni, come quelle derivanti dal sequencing del DNA, che possano aiutare a definire cure su misura per i pazienti, migliorando così l’efficacia della terapia».

Summer is a State Of Mind: ic! berlin SS25

Stile senza confini: l’energia di Bangkok incontra Berlino

La campagna Primavera/Estate 2025 è stata realizzata nella vibrante metropoli thailandese di Bangkok. Questa città riflette molte delle caratteristiche di Berlino: contrasti che si incontrano, un’energia pulsante e un mix eclettico da cui nascono nuove idee. L’individualità e il pensiero anticonvenzionale sono valori fondamentali sia a Bangkok che nel laboratorio berlinese di ic! berlin, dove questi principi vengono portati avanti con passione sin dalla fondazione del brand. La collezione Primavera/Estate 2025 celebra il momento e il coraggio di essere diversi, incoraggiando l’espressione dello stile personale e l’autenticità all’interno di una comunità aperta e inclusiva: lo spirito della famiglia globale di ic! berlin.

Leggerezza e innovazione: il design senza tempo di ic! berlin

Questa stagione è un invito a lasciarsi andare e vivere con leggerezza. Il team di design di Berlino ha reinterpretato le forme rétro trasformandole in modelli ultra-leggeri e minimalisti: montature cat-eye, ovali, pentagonali e persino eptagonali. Questi design, caratterizzati da dettagli tecnici innovativi, linee raffinate ed estrema leggerezza, si adattano perfettamente a qualsiasi stile personale.

ic! berlin utilizza solo materiali selezionati con la massima cura, come l’acciaio inossidabile laminato a freddo proveniente dalla Germania e l’acetato a base di cotone dall’Italia. Il risultato sono modelli dal design senza tempo e di alta qualità, pronti per ogni stile di vita.

Colori esclusivi: eleganza e carattere in ogni sfumatura

Gli occhiali da sole e da vista di questa stagione si distinguono per colori PVD sapientemente composti e tonalità di acetato intense e profonde. Ogni modello della collezione presenta accenti cromatici delicati, che ne esaltano l’eleganza e l’unicità. Il team di designer e gli specialisti interni di ic! berlin hanno sviluppato una palette esclusiva di nuove tonalità, tra cui Shiny Aubergine, un colore PVD realizzato internamente, e Habanero, un laccato rosso intenso. Inoltre, la collezione introduce una nuova sfumatura per le lenti: Pineapple Gradient Polarized. Per chi desidera un tocco di freschezza estiva, la gamma include anche montature in acetato nel nuovo colore Deep Ocean, un blu profondo e affascinante.

Alessandro Zoppa

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Tu lavori da anni nel settore dell’Eyewear e del lusso: quali sono oggi le sfide per chi si occupa del design di questo particolare accessorio?

«La prima riguarda senz’altro la maggiore attenzione e competenza dei consumatori, che si traduce per noi in una sempre più grande attenzione ai dettagli e alla qualità artigianale del lavoro. Non solo. Oggi è importante anche puntare su una dimensione circolare, non lineare, del pensiero e del lavoro. Vuol dire progettare in modo consapevole, facendo attenzione a tutti gli aspetti del ciclo produttivo: dalla sostenibilità dei materiali all’impatto sul territorio, dalla qualità del prodotto alla sua durata nel tempo».

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In queste settimane ha debuttato la nuova collezione di WEB EYEWEAR, uno dei progetti che hai seguito personalmente: in cosa si caratterizza questa nuova linea?

«La collezione nasce al termine di un percorso di ricerca durato circa tre anni, a partire dalla storia importante che questo brand porta con sé, e che è approdato all’essenza dei suoi valori fondamentali. Primo tra tutti quello di voler “essere” piuttosto che “apparire” con, in più, il tema della trasparenza, che abbiamo declinato nel design tridimensionale dell’asta. Non a caso il marchio WEB EYEWEAR è scelto soprattutto da chi, nella vita, è più attento alla sostanza che all’apparenza e sa che questo è un prodotto elegante, destinato a durare nel tempo, frutto di un pensiero progettuale attento e approfondito. È come nell’abbigliamento: acquisti un certo abito perché ti riconosci in una certa visione, ti appartiene, è quella che ti permette di esprimere al meglio la tua personalità».

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Da creativo, come hai vissuto la campagna che ha portato alla mostra-evento Framing Light e il coinvolgimento di cinque fotografi attorno ai tre valori di WEB EYEWEAR?

«È stata una bellissima sfida, qualcosa che non era mai stato fatto prima nel mondo dell’Eyewear, e la grande affluenza del pubblico ci ha dato ragione: oggi c’è bisogno di esperienze che permettono di far dialogare un prodotto e la sua filosofia con l’arte, ma senza legarsi al prodotto. In questa mostra è stata la fotografia, ma mi auguro che in futuro si possano creare nuove connessioni con filosofi, musicisti o magari chef, personalità che possano regalare al pubblico un momento di bellezza, riflessione, poesia. I valori che sono stati trasmessi all’interno di Framing Light, poi, riassumono lo stile della collezione WEB EYEWEAR, nella quale eleganza e semplicità sono i pilastri portanti. Un’operazione “cult”, cioè culturale ma anche destinata a fare tendenza, come il debutto di un “fuorisalone” del mondo dell’Eyewear».

Stefano Guindani

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È possibile comunicare in modo efficace un prodotto senza mai mostrarlo ma interpretando i valori del brand, come ti è stato chiesto per il progetto WEB EYEWEAR-Framing Light?

«La sfida e l’opportunità di questo progetto è stata proprio cercare di interpretare questi tre concetti, trasparenza, gusto e quiet luxury, senza far vedere gli occhiali. E farlo evitando di essere didascalico. Ma in generale io lavoro così, cerco sempre di fotografare i prodotti fashion senza perderne di vista il valore poetico, di costruire qualcosa di artistico che possa far sognare: quando succede è lo scatto perfetto, che parla di un’eleganza mai urlata».

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A cosa ti sei ispirato per declinare concetti come trasparenza, gusto e quiet luxury?

«Per il “gusto”, parola che possiamo associare al food ma anche al senso estetico, ho voluto evocare il gusto molto italiano per la bellezza e per l’arte, la manualità, il saper creare, attraverso le mani sporche di gesso di uno scultore al lavoro. Le saline di Marsala, invece, dove l’acqua è tinta di rosa per via di una particolare alga e, al tramonto, sembra quasi fluorescente, sono state la location perfetta per parlare di trasparenza legata alla natura, come anche nello scatto che immortala il volo degli aironi sull’acqua. Per il lusso, invece, ho scelto di fotografare una ragazza seduta all’aria aperta, assorta nella lettura di un libro per sottolineare come oggi il vero lusso sia potersi prendere del tempo per sé, per immergersi nella lettura, per pensare».

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Quale, tra tanti, è stato lo scatto più sfidante?

«Le foto più impegnative sono state proprio quelle scattate alle saline perché non sapevo se avrei trovato la luce giusta, l’atmosfera perfetta per evocare il concetto di trasparenza perché questo dipendeva moltissimo dalle condizioni del tempo che avremmo incontrato. Abbiamo dovuto aspettare qualche giorno, ma alla fine la luce giusta è arrivata».

Marcolin Germania festeggia 40 anni

Un viaggio iniziato nel 1985

Prima a Lörrach, poi a Ludwigsburg – deliziose località del Baden-Württemberg – infine a Colonia: sono le tappe del percorso di Marcolin in Germania. Un viaggio iniziato nel 1985, esattamente 40 anni fa, con una piccola filiale e una manciata di giovani collaboratori, e approdato nel 2017 nel cuore della capitale economica, storica e culturale della Renania come Marcolin Deutschland GmbH. Diventando una realtà vivace e ben radicata nel territorio che oggi conta più di 50 collaboratori (molti dei quali in azienda da più di 25 anni), coordinati dal responsabile North EMEA Stephan Hinkerode.

Il legame con i brand tedeschi

Il giro di boa dei 40 anni è l’occasione per aprire l’album dei ricordi ma anche quella per sottolineare il ruolo chiave avuto dalla filiale tedesca per l’espansione nella regione EMEA del business di Marcolin. E per il consolidamento del legame con tre iconici brand made in Germany dello sportswear e del lusso all’interno del portfolio del Gruppo di Longarone: adidas (con le due linee Sport e Originals), MCM e, più di recente, l’house brand ic! berlin.

La parola ai collaboratori

Le testimonianze dei collaboratori di Marcolin Deutschland confermano il successo di un progetto nato negli anni Ottanta e rimasto fedele al progetto di una realtà innovativa, internazionale e in continua evoluzione. Favorendo la crescita continua dei collaboratori. Lo confermano le parole di Lydia Müller e Manuela Becker, entrambe in Marcolin dal 1999 come responsabili delle vendite, o di Frank Riethmüller, entrato in azienda diciotto anni fa per occuparsi di budget e collezioni e oggi analista e pianificatore delle vendite. «In Marcolin abbiamo imparato molto e abbiamo avuto la possibilità di sviluppare liberamente le nostre competenze. È un piacere far parte di questo team e di questo grande Gruppo».

Marcolin talk torna a Milano

Dall’introspezione al prodotto

«Partecipo volentieri a questa serata perché siamo all’interno di un progetto in cui ci sono molto pensiero e molta creatività» ha esordito Andrea Batilla, sul palco per incontrare i cinque fotografi in mostra (Stefano Guindani, Camilla Ferrari, Giulia Mantovani, Niccolò Parsenziani e Gaia Bonanomi), lo scrittore pubblicitario, direttore creativo e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands Paolo Iabichino e Lara Marogna, Group Style & Product Development Director di Marcolin. È proprio quest’ultima a spiegare in che modo Framing Light arrivi al termine di un processo di smaterializzazione del brand WEB EYEWEAR, con una storia iniziata negli anni Trenta. «Per cominciare, ci siamo concentrati sul cliente, chiedendoci quale fossero la sua personalità, i suoi interessi, le sue abitudini. Poi, dopo questa indagine introspettiva, siamo arrivati alla sintesi dei tre valori illustrati in mostra da questi cinque fotografi italiani: gusto, trasparenza e quiet luxury».

Il valore della trasparenza

È sulla trasparenza che, in particolare, ci si è soffermati nel corso del talk. Merito della sua doppia valenza perché può riferirsi al materiale come alla virtù. «Per tradurne il valore nella concretezza di una montatura abbiamo realizzato una collezione che gioca su un effetto di trasparenza un po’ nascosto, da cogliere nell’attimo, proprio come fa un fotografo in attesa della luce giusta per scattare» ha spiegato Lara Marogna. Ed è proprio sul valore che ha oggi la fotografia che Paolo Iabichino ha ripreso il discorso. «Ho sempre considerato la fotografia, anche quella pubblicitaria, un fatto artistico. E credo che oggi abbia ancora valore solo se liberata dalle “grinfie” della pubblicità, se rispettata nei suoi codici semantici, come è avvenuto per un progetto come quello di questa mostra».

La scelta di un occhiale

«Occorre dire che, su queste tematiche, la moda fa scuola da tempo, grazie al suo impegno nella produzione di contenuti, di progetti culturali che cerchino di colmare il deficit dell’attenzione causato da Internet» conclude Paolo Iabichino. E se per fortuna oggi l’influencer con in mano un prodotto non funziona più, come catturare l’interesse del pubblico?  «Essere un brand che entra e risuona con la vita delle persone, che viene scelto, non comprato. Solo così un occhiale può essere scelto: perché indossarlo equivale a dire al mondo qualcosa di te».